giovedì 30 settembre 2010

Lux - Carta Straccia #16


Nel buio accecante delle stelle, passeggiavo su una Terra disabitata, scuoiata d'ogni speranza, m'avviai lungo la vena principale della mia città. L'aria gelida di un inverno perenne è il pugno sugli zigomi che mi teneva attivo, adrenalinico. Sono giorni che non dormo. Notti lunghe perforate da lame d'argento s'accavallavano nei miei ricordi, come decantati in una soluzione chimica. Lascio l'arteria principale della città per buttarmi su una strada secondaria che mi avrebbe portato verso un parco. Una giostra roteava stanca mentre le altalene sembravano animate da fantasmi. La mia mente provò a colmare con voci e colori ed esseri viventi quello che una volta doveva essere una città pulsante di vita e di morte. Ci doveva pur essere qualcuno, no? Non potevo essere stato messo lì, creato dal nulla, no? Ma allora qual era la via d'uscita? Morire? Immaginai di morire, ma
non era un sogno, non potevo plasmare nulla a mia piacimento. Ero solo, impotente in una realtà totalitaria. Angosciato, tornai a concentrarmi e a rimuginare. Decisi allora d'avviarmi verso una chiesa, irraggiata all'interno da un morbido bagliore. Camminando, cercai di pensare ad altro, per lasciare il tempo libero di fluire oltre i confini della coscienza. Ero ormai vicino ma la chiesa ora era diventata una casa. Strano, mi dissi. Entrai.
Le luci erano ancora accese. Nel tinello, aprii il frigorifero per versarmi un goccio di birra. Sulla penisola della cucina c'era un libro, lo sfogliai, c'erano delle foto in ordine sparso. Non conoscevo i soggetti anche se mi sembravano... conosciuti. Osservai con attenzione ma non mi dicevano nulla. Alla fine della raccolta c'era scritto:”Papà, ci manchi, guarisci presto!”. D'un tratto la mia mente vide una strada, una macchina l'autosnodato che liscia una precedenza e il sangue l'ambulanza e gli sfinteri che mi inondano i pantaloni e l' impatto dei vetri sulla pelle e Riaprii gli occhi.
Mi svegliai in una stanza dalle pareti bianche, steso. Tre persone sembravano sollevate di vedermi.
Insieme dicono con gli occhi umidi: “Bentornato, papà!”.

Quel Buco - Carta Straccia #15



Apro gli occhi.
Buio.
Buio nel buco di merda nel quale sono piombato.
Gratto, annaspo, tasto tentoni l'oscurità che pervade questo cacatoio. L'odore, l'odore di urina e sangue mi soffoca. Mi sento fradicio fino al midollo osseo. Cos'è questa melma che mi arriva alle ginocchia? Dove sono capitato?
Mi tocco le tasche, in cerca di luminose certezze. Le sento. Tasca posteriore destra. Pacchetto di sigarette e accendino. Mi metto in bocca una bionda per stemperare la tensione. Accendo, il bagliore intorno a me mostra muri nudi e umidi. Un pozzo.
Ora ricordo. Camminavo per le campagne, una passeggiata per rilassarmi dopo cena. Poi ricordo di essere scivolato e poi... eccomi qui.
La fiamma scotta, quasi getto l'accendino in acqua. Resisto. La sigaretta mi tiene vivo, la nicotina mi tiene sveglio. In attesa che l'accendino si raffreddi, con la punta incandescente della bionda faccio due tiri per illuminare il pelo d'acqua. Toh, guarda. Un sasso.
Ehi, aspetta i sassi non galleggiano.
Afferro quella sagoma porosa e vedo me stesso. La mia testa staccata di netto. Sgrano gli occhi, tiro più forte dal filtro, la schiumo. No, il fetore di questo posto sta iniziando a darmi alla testa.
Pensa, rifletti. Come si esce da un pozzo tanto profondo? Si attende il giorno dopo. Ovvio, no?
L'adrenalina della scoperta cessa il suo effetto, inizia il dolore. Un forte dolore alla caviglia sinistra e al braccio sinistro. Ero caduto. Il fango deve aver attutito l'urto, m’ha salvato, ma ora sento tutti gli acciacchi.
Merda. Come si esce di qui?
Forse, aspetta. Forse posso misurare con le braccia il diametro del pozzo. Sì, è un cerchio, sì le mie braccia ci stanno strette. Ottimo, posso iniziare a risalire. Prego il cervello di rilasciare altro neurostimolante e altro anestetico nel mio organismo. Salgo, infilo i miei arti nelle crepe tra i mattoni, come un quadrumane. Ecco, inizio a sentire l'aria più pulita. Ecco, inizio a vedere il bagliore delle stelle. Appena poggio le mani lorde sul bordo di pietra perdo la presa, perdo le mani, tagliate da nere mannaie, facendomi morire piombando nel buio dell'eternità.